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Competizione
Post -Gara

Cosa succede quando la partita finisce? Si è contenti, delusi, si è raggiunto l'obiettivo? Una cosa che, prima ancora di rispondere, andrebbe fatta è un applauso. Un segno semplice, chiaro, diretto. Prima dei commenti inevitabili e delle considerazioni su ciò che è appena accaduto, bisognerebbe stare in silenzio e fare un applauso. Un segno di rispetto per chi si è impegnato, ha sudato, ha lottato sul campo; un applauso a chi ha guidato dalla panchina gli atleti, a chi li ha accompagnati in trasferta, a chi ha reso possibile la competizione. Un applauso agli organizzatori, agli arbitri, ai rappresentati delle federazioni sportive. Un applauso ai sostenitori locali che non hanno evitato di incoraggiare la squadra avversaria, a chi non ha giocato perché infortunato, ai parenti ed agli amici che, da casa, hanno sofferto ascoltando la radio, a chi piange di gioia o di dolore ed anche a chi è finito in ospedale, perché colto da malore. Senza fare sinceramente, questo applauso non si rende giustizia allo sport e a chi di sport vive.
Dopo il triplice fischio, le strette di mano, gli applausi (nella migliore delle ipotesi), lo scenario immediato, per un atleta, è la doccia. E' il contatto con l'acqua (calda o fredda che sia) che fa uscire dallo stato di "trance agonistica" e dà la conferma che la competizione è finita. L'adrenalina inizia a fare meno effetto. Ci si comincia a scaricare veramente. Ora la risposta è chiara: o si è vinto o si è perso, o l'obiettivo è stato raggiunto, oppure no. Cosa fare? Quì la scienza lascia lo spazio all'esperienza. Non esistono manuali, teorie o altro che spiegano come ci si dovrebbe comportare nel dopo-gara. Una cosa è certa: l'atleta, nel proprio segreto, è sempre il più avaro critico di sé stesso. Dopo la doccia, comincia a rivedere a mente la gara appena terminata e sente il bisogno di darsi un giudizio, come per chiudere un capitolo. Può aver vinto, stracciando l'avversario, ma questo non significa necessariamente che il suo giudizio su sé stesso sia positivo. Ciò che, forse, può aiutare a vivere bene questi momenti è di evitare di essere troppo critici con sé stessi. Quando si è meno critici con sé stessi, ci si rende conto di esserlo di meno anche con gli altri. Mille domande possono sorgere, soprattutto se l'esito non è stato positivo, ma l'unica alla quale bisognerebbe dare una risposta è: ho dato, oggi, il meglio di me stesso? A forza di domandarsi questo, l'esperienza insegna, che il massimo lo si dà davvero. E se, realmente, un atleta arriva a dire a sé stesso che, in quella determinata occasione, ha dato il meglio di sè, allora giunge puntuale la serenità. Quella stessa serenità che è tipica di un artista quando, posato lo strumento, si rende conto che la sua opera è completa.
Qualche ora dopo la competizione o il giorno dopo, giunge il momento del confronto con chi sta vicino all'atleta. Anche in questa occasione, prima di parlare, bisognerebbe, ringraziarsi a vicenda, guardandosi negli occhi. Di motivi per dire grazie ce se sono sempre moltissimi, soprattutto da parte dell'allenatore agli atleti. In questa maniera, la comunicazione ha buone probabilità di essere efficace. Le parole, allora, avranno l'effetto desiderato e non lederanno la dignità di nessuno. Con queste premesse, si può parlare, contestare, asserire, disconfermare, certamente si arriverà ad una conclusione condivisa che poi è la base della preparazione alla competizione successiva.