Salvo Russo
Inviato il 16 /1 /2011
alle ore 9:29  | Uno degli obiettivi più ambiziosi della psicologia dello sport è quello di rendere l'atleta autonomo da un punto di vista mentale. Ovviamente, non è possibile generalizzare. In alcune specialità, con le conoscenze attuali, è impesabile scegliere di "lasciare" l'atleta da "solo". Nonostante ciò, dopo anni di preparazione mentale guidata da persone esperte, ritengo che l'atleta possa riconoscere da solo i propri bisogni da questo punto di vista e, conoscendo tutte le tecniche a sua disposizione, possa scegliere quella più adatta a lui in quel momento. A tal proposito, mi piace ricordare una lieta esperienza accadutami ormai qualche anno fa. Si presentò nel mio studio un ingegnere-atleta di 36 anni che, nonostante la sua professione attuale, non aveva mai abbandonato la sua specialità di atletica leggera (400 mt ad ostacoli). Conosceva tutto della sua specialità: tempi e metodi di allenamento, dieta, stile di vita consigliato ed aveva una motivazione di ferro. Sentiva, però, che gli mancava qualcosa da un punto di vista mentale. In gara, non rendeva quanto in allenamento. Obiettivo agonistico: arrivare in finale dei campionati mondiali Master dello stesso anno. Cominciammo un lavoro tentando insieme di aggiungere al suo mosoaico il tassello mancante. Fui felice quando mi arrivò il suo messaggio subito dopo la gara con scritto: sono 5° al mondo! Ce l'ho fatta, sono felice. Persi le tracce di questo atleta e considerai che lui aveva ormai raggiunto i suoi obiettivi. Con grande gioia appresi, l'anno seguente, da un conoscente comune, che aveva alzato la sua asticella. Proseguendo autonomamente il cammino mentale iniziato con me, aveva vinto il campionato mondiale e si era così appassionato alla cosa da iscriversi alla facoltà di psicologia. A conferma di ciò, l'ultimo approfondimento riguardante la preparazione mentale di questo sito è dedicato alla "autonomizzazione delle strategie". |
